Stress lavoro correlato

Lo stress sul lavoro è una risposta fisiologica e psicologica a eventi stressanti sul luogo di lavoro. Può essere causato da una varietà di fattori, tra cui scadenze serrate, sovraccarico di lavoro, conflitti interpersonali, mancanza di controllo sul lavoro e mancanza di supporto dai colleghi o dal datore di lavoro. La valutazione dello stress lavoro correlato rientra tra gli obblighi del datore di lavoro.

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Lo stress lavoro correlato può avere un impatto negativo sulla salute mentale e fisica dei lavoratori, oltre che sulla produttività aziendale. Pertanto, è importante valutare il rischio di stress lavoro correlato in azienda.

La valutazione del rischio stress lavoro correlato

La valutazione del rischio stress lavoro correlato è un processo fondamentale per garantire il benessere dei lavoratori e la salute dell’azienda che comprende diverse fasi. Nel valutare il rischio di stress lavoro correlato in azienda, è importante tenere in considerazione gli indicatori di stress da lavoro correlato di contenuto e di contesto.

Gli indicatori di contenuto riguardano il lavoro stesso, come la quantità di lavoro, la sua complessità, l’autonomia lavorativa, le scadenze strette, la ripetitività delle attività e la mancanza di controllo sul lavoro.

Gli indicatori di contesto, invece, si riferiscono all’ambiente e alle relazioni interpersonali sul posto di lavoro, come l’isolamento sociale, l’incertezza del ruolo lavorativo e la mancanza di supporto dai colleghi o dal datore di lavoro.

La valutazione dei due tipi di indicatori deve essere accurata e dettagliata al fine di identificare i lavoratori che sono più a rischio di sviluppare stress da lavoro correlato. In questo modo si possono pianificare gli interventi più adeguati per ridurre lo stress e migliorare il benessere dei dipendenti.

Fase propedeutica

La fase propedeutica prevede l’individuazione dei fattori di rischio presenti nell’organizzazione, dal contesto lavorativo alla gestione delle risorse umane, fino alla comunicazione interna ed esterna. In questa fase, infatti, si effettua una prima analisi della situazione aziendale, valutando le caratteristiche organizzative e produttive dell’azienda e raccogliendo informazioni sulle mansioni svolte dai dipendenti.

L’obiettivo principale è quello di individuare i possibili fattori di stress correlati alle attività lavorative. In questa fase, inoltre, si possono raccogliere dati sulla presenza di eventuali segnali di stress tra i dipendenti. È importante che la fase propedeutica venga condotta con attenzione e cura, in modo da avere un quadro completo della situazione lavorativa in cui si andrà a operare successivamente con le fasi successive della valutazione del rischio.

Fase della valutazione preliminare

La fase della valutazione preliminare approfondisce i fattori individuati nella fase precedente, analizzando le fonti di stress e le conseguenze sulle persone coinvolte. In questa fase, si procede alla raccolta delle informazioni necessarie attraverso l’analisi delle fonti di dati disponibili , quali documentazione aziendale, dati statistici sull’assenteismo, soddisfazione lavorativa, ecc., l’osservazione diretta dei luoghi di lavoro e degli ambienti in cui si svolgono le attività lavorative, nonché attraverso interviste ai lavoratori.

Raccolte le informazioni, queste vengono analizzate al fine di individuare i possibili fattori di rischio per lo stress lavoro correlato che possono essere di carattere organizzativo o psicosociale. In questa fase, è importante coinvolgere tutti gli attori interessati al fine di ottenere un quadro completo della situazione e garantire un approccio partecipativo alla gestione del rischio. La corretta valutazione preliminare permette di individuare tempestivamente i problemi e le aree critiche in cui intervenire per prevenire o ridurre lo stress lavoro correlato.

Fase della valutazione approfondita

Nella fase della valutazione approfondita si individuano gli indicatori di stress da lavoro correlato, sia di contenuto che di contesto, per comprendere meglio le cause del problema. I dati raccolti durante la valutazione preliminare vengono analizzati in modo più dettagliato e preciso per identificare le cause principali dello stress nei lavoratori dell’azienda.

Per svolgere al meglio questa attività, è necessario utilizzare strumenti specifici che consentano di raccogliere informazioni riguardanti le mansioni svolte, il contesto lavorativo e le relazioni interpersonali all’interno dell’organizzazione. La fase della valutazione approfondita permette di individuare gli aspetti critici del lavoro che possono generare stress e di definire gli obiettivi degli interventi da realizzare nella successiva fase di pianificazione.

Fase di pianificazione degli interventi

Infine si passa alla fase di pianificazione degli interventi, dove vengono individuate le soluzioni più adeguate per ridurre lo stress da lavoro correlato. Completate le fasi propedeutica, della valutazione preliminare e della valutazione approfondita, è il momento di elaborare un piano d’intervento personalizzato per ogni lavoratore o gruppo di lavoratori che presentano segni di stress correlato al lavoro. Questo piano deve essere basato sui risultati della valutazione del rischio e deve includere misure preventive e correttive adeguate alla situazione individuale.

La pianificazione degli interventi dovrebbe coinvolgere tutti i livelli gerarchici dell’azienda, in modo da garantire una collaborazione efficace tra il datore di lavoro e i dipendenti nella gestione dello stress lavoro-correlato. Inoltre, il piano d’intervento dovrebbe essere costantemente monitorato ed aggiornato in base ai feedback ricevuti dai lavoratori e all’evoluzione delle condizioni di lavoro all’interno dell’azienda. Solo attraverso una pianificazione attenta e mirata sarà possibile ridurre efficacemente lo stress lavoro-correlato e migliorare la qualità della vita dei lavoratori.

Gli indicatori di stress da lavoro possono essere ridotti tramite interventi mirati sulla comunicazione interna dell’azienda, sulla formazione dei dipendenti e sulla gestione del carico lavorativo.

Come ridurre lo stress da lavoro correlato?

Per ridurre lo stress da lavoro correlato, esistono diverse strategie che possono essere adottate sia a livello individuale sia aziendale. Innanzitutto, una gestione efficace del tempo in modo efficace è essenziale per organizzare le attività in modo da evitare sovraccarichi di lavoro e stress. A livello aziendale, una buona comunicazione tra i colleghi contribuisce a creare un ambiente di lavoro più sereno e collaborativo.


Il rischio elettrico

La valutazione del rischio elettrico: definizione, normativa, effetti, obblighi del datore di lavoro

Il rischio elettrico rappresenta uno dei principali pericoli presenti in numerosi ambienti di lavoro. Esso consiste nella possibilità di subire un contatto diretto o indiretto con l’elettricità, che può avere effetti devastanti sulla salute dei lavoratori coinvolti.

Il D.Lgs. 81/08 definisce il rischio elettrico come la possibilità che una persona entri in contatto con parti elettriche sotto tensione direttamente o indirettamente, a causa della presenza di un potenziale elettrico pericoloso. Il D.Lgs. 81/08 prevede l’obbligo per il datore di lavoro di valutare il rischio elettrico presente nei luoghi di lavoro e di adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dei lavoratori.

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Tra le misure obbligatorie previste dalla legge, troviamo la messa a terra delle parti attive, l’installazione di dispositivi differenziali sensibili alla corrente residua, l’utilizzo di strumenti e attrezzature idonee al lavoro da svolgere ed adeguatamente manutenute.

Gli effetti del rischio elettrico possono essere estremamente gravi: shock elettrici, ustioni, fibrillazione ventricolare e arresto cardiocircolatorio sono solo alcuni degli esempi. Proprio per questo motivo, il datore di lavoro è tenuto a fornire ai propri dipendenti le informazioni e la formazione necessarie per evitare il rischio di incidenti.

In particolare, la normativa prevede l’obbligo per il datore di lavoro di istruire i lavoratori sui rischi elettrici presenti nel posto di lavoro, sulle misure di prevenzione adottate dall’azienda e sulle procedure da seguire in caso di emergenza.

La normativa sul rischio elettrico

La normativa italiana di riferimento è costituita dal D.Lgs. 81/08 e dalla Norma CEI 11-27, che definisce le prescrizioni di sicurezza per la progettazione, l’installazione, la gestione e la manutenzione degli impianti elettrici e delle apparecchiature a bassa tensione. Questa norma fornisce le indicazioni per la valutazione dei rischi legati all’elettricità, la definizione delle misure di prevenzione e protezione e le prescrizioni per la verifica periodica degli impianti.

In breve la normativa prevede che i lavoratori che operano in presenza di corrente elettrica debbano essere adeguatamente formati e informati sui rischi connessi all’uso dell’elettricità. Inoltre, le attrezzature e gli impianti elettrici devono essere progettati, installati e mantenuti in modo da garantire la massima sicurezza per gli operatori. Si prevede inoltre anche l’obbligo di effettuare periodicamente verifiche tecniche sulla funzionalità degli impianti elettrici per prevenire eventuali guasti o malfunzionamenti che potrebbero causare incidenti.

Per quanto riguarda la protezione dei lavoratori da scariche elettriche, la normativa impone l’utilizzo di idonei DPI come guanti isolanti, calzature antinfortunistiche e caschi protettivi. Inoltre, i lavoratori devono essere dotati di strumenti adeguati per l’intervento in caso di emergenza, come estintori, kit per il primo soccorso e telefoni antideflagranti.

La valutazione del rischio elettrico

Il rischio elettrico è un pericolo sempre presente in ogni ambiente lavorativo dove si utilizza l’energia elettrica. La valutazione del rischio elettrico è un’attività fondamentale per prevenire gli incidenti sul lavoro legati all’elettricità. Questa valutazione consiste nell’identificare, valutare e gestire i pericoli elettrici presenti in un ambiente di lavoro, al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori.

1. Identificazione dei pericoli

In primo luogo, identificare le aree in cui c’è un alto rischio di fulminazione, comprese le aree in cui sono presenti apparecchiature elettriche ad alta tensione, come i componenti del sistema di alimentazione elettrica.

2. Valutazione del rischio

Identificate le aree a rischio, si valuta il livello di rischio associato a ciascuna area. Ciò include la valutazione del potenziale di tensione elettrica, la frequenza delle tempeste e il tipo di terreno circostante.

3. Determinazione delle misure preventive

Sulla base della valutazione del rischio, si delineano le misure preventive da adottare per minimizzare il rischio. Tali misure possono includere la creazione di procedure operative standard, l’utilizzo di dispositivi di protezione personali o la modifica dell’ambiente di lavoro in modo da ridurre il rischio di incidenti. un piano per ridurre il rischio di fulminazione.

4. Monitoraggio

Infine, è importante monitorare regolarmente il piano per assicurarsi che sia efficace nel ridurre il rischio di fulminazione attraverso una revisione periodica e l’aggiornamento in base alle nuove informazioni sul rischio.

L’impianto di protezione da scariche atmosferiche

L’impianto di protezione da scariche atmosferiche, noto comunemente come parafulmine, è un sistema installato sulle strutture per prevenire i danni causati dalle scariche elettriche atmosferiche durante le tempeste. L’impianto funziona disperdendo la carica elettrica generata dalla scarica atmosferica nel terreno attraverso un sistema di conduttori elettrici.

L’installazione del parafulmine garantisce la sicurezza delle persone all’interno delle strutture proteggendo impianti elettrici e apparecchiature elettroniche dai danni causati dalle scariche.

Conclusione

In conclusione, la valutazione del rischio fulminazione è importante per ridurre il rischio di fulminazione in un’area specifica. Seguendo i passaggi sopra descritti, è possibile sviluppare un piano efficace per ridurre il rischio e garantire la sicurezza del personale che lavora con l’elettricità.


 


Il DUVRI

Che cos’è il DUVRI e come deve essere redatto

Il DUVRI, Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali, è quel documento che identifica e valuta i rischi negli ambienti di lavoro durante un appalto. Ha lo scopo di eliminare o ridurre al minimo le interferenze che possono derivare dalle attività delle imprese coinvolte ed è regolamentato dall’art. 26 del D.Lgs. 81/08.

La responsabilità della redazione del DUVRI è del datore di lavoro committente e non delle imprese o dei lavoratori autonomi a cui è stato affidato il contratto. Tuttavia, essi sono comunque tenuti a collaborare e a fornire tutti i documenti necessari per evidenziare i possibili rischi. Il DUVRI deve essere predisposto o aggiornato ogni volta che vengono stipulati nuovi contratti.

Il DUVRI non è necessario per i cantieri in cui il PSC o Piano di Sicurezza e Coordinamento è già stato predisposto e accettato dalle Imprese esecutrici. In questi casi, le Imprese esecutrici del cantiere devono predisporre il Piano Operativo di Sicurezza (POS) in quanto i rischi da interferenze sono già stati affrontati dal PSC. Il DUVRI deve essere predisposto solo nelle situazioni in cui è possibile eliminare o ridurre i rischi da interferenza tra i lavoratori del Committente e quelli delle Imprese appaltatrici. Se ciò non è possibile, il DUVRI consisterà in una dichiarazione del DLC che formalizzi l’impossibilità di eliminare o ridurre tali rischi, insieme a specifiche giustificazioni del caso. In questi casi, le decisioni prese durante la riunione di coordinamento tra tutti i datori di lavoro coinvolti, in primis il Datore di Lavoro, saranno fondamentali per garantire la sicurezza. È importante notare che il DUVRI è un obbligo del datore di lavoro, ma la sua redazione può essere delegato a terzi.

Quando deve essere redatto

Secondo l’art. 26 del D.Lgs. 81/08 si ha l’obbligo di redigere il DUVRI quando il Datore di lavoro di un’azienda committente affida lo svolgimento di lavori o servizi all’interno del proprio luogo di lavoro ad un’impresa appaltatrice o lavoratori autonomi. Ma non deve essere redatto per:

  • servizi di natura intellettuale,
  • mere forniture di materiali,
  • lavori o servizi di durata inferiore a 5 uomini-giorno,
  • se è presente il Piano di Sicurezza in fase di Coordinamento.

L’art. 29 ci informa inoltre degli obblighi ovvero:

  • informazione: riguarda l’obbligo di informare l’azienda appaltatrice sulle caratteristiche del contesto in cui opererà,
  • coordinamento: si riferisce a quelle azioni che il datore di lavoro dell’azienda committente deve intraprendere
  • per evitare che si verifichino disaccordi, sovrapposizioni e altri eventi che possano nuocere alla sicurezza,
  • cooperazione: significa che sia il datore di lavoro committente sia il datore di lavoro esecutore devono contribuire alla predisposizione ed applicazione delle necessarie misure di prevenzione e protezione

I rischi da interferenza

I rischi da interferenza sono classificati in rischi immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell’appaltatore (rischi in entrata) e in rischi specifici presenti nella normale attività del committente, non presenti normalmente nell’attività dell’appaltatore (rischi in uscita).

I rischi da contiguità fisica e di spazio sono quei rischi che derivano da sovrapposizioni di più attività svolte da
diversi appaltatori, mentre i rischi da commissione derivano da modalità di esecuzione particolari, richieste dal committente.

Le caratteristiche del DUVRI

Il DUVRI si deve integrare con il DVR, pur essendo da esso indipendente; deve essere finalizzato a gestire i rischi interferenziali e essere unico per tutti gli appalti che comportano rischi tra loro interferenti.

Per quanto riguarda i contenuti minimi:

  • devono essere identificati i criteri utilizzati,
  • deve esserci una descrizione dell’azienda committente e delle attività che si svolgono durante l’appalto,
  • devono essere descritte le attività degli appaltatori e delle zone di lavoro a loro disposizione.

Inoltre deve esserci:

  • il cronoprogramma delle attività,
  • l’organizzazione delle misure di prevenzione e protezione da adottare,
  • il computo estimativo dei costi della sicurezza,
  • il coordinamento delle fasi lavorative.

Aggiornamento del DUVRI

Quando è necessario un aggiornamento del DUVRI il datore di lavoro committente deve convocare una riunione di coordinamento con gli operatori coinvolti per individuare le misure migliorative. Alcuni contratti possono essere interessati e quindi adeguati rideterminando anche i costi della sicurezza oppure può rendersi necessaria la stipula di un nuovo contratto.


Il formatore per la sicurezza

Quali sono i requisiti di un Formatore per la Sicurezza?

Un formatore per la sicurezza certificato è uno specialista che possiede le conoscenze e le competenze necessarie per svolgere attività di docenza. È addestrato a identificare i potenziali pericoli, a valutare i rischi e a progettare programmi di formazione sulla sicurezza su misura per le esigenze specifiche di un’azienda.

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La figura del Formatore per la Sicurezza è regolamentata dal D.Lgs. 81/08 e dal D.I. 6 marzo 2013. Quest’ultimo stabilisce i requisiti che i formatori per la sicurezza devono possedere e individua tre diverse aree tematiche attinenti alla salute e sicurezza sul lavoro:

  • area normativa/giuridica/organizzativa,
  • area rischi tecnici/igienico-sanitari,
  • area relazioni/comunicazioni.

Il Formatore per la Sicurezza qualificato

Il Formatore in materia di sicurezza qualificato è il docente che possiede il prerequisito ed almeno uno dei criteri indicati dal D.I. 6 marzo 2013. Il prerequisito è il diploma di scuola secondaria di secondo grado.

Tra le domande che più spesso vengono poste è se l’RSPP è anche un formatore qualificato e la risposta è sì se rispetta quanto indicato dal criterio 6 ovvero: esperienza pregressa come RSPP di almeno 6 mesi o come ASPP di almeno 12 mesi insieme a una delle seguenti specifiche:

  • percorso formativo in didattica di durata minima di 24 ore;
  • esperienza pregressa come docente di almeno 32 ore negli ultimi 3 anni come docente in materia di sicurezza;
  • esperienza pregressa come docente di almeno 40 ore negli ultimi 3 anni come docente in qualsiasi materia;
  • corsi formativi in affiancamento a un docente di almeno 48 ore negli ultimi 3 anni come docente in qualsiasi materia.

Il criterio 5 è utile per definire il formatore qualificato nel caso in cui il candidato formatore per la sicurezza abbia esperienza lavorativa almeno triennale in salute e sicurezza nei luoghi di lavoro insieme a una delle specifiche viste sopra per il criterio 6.

Il progettista della formazione

Chi progetta un corso di formazione non solo deve possedere le competenze necessarie sull’argomento, ma deve avere anche competenze didattiche che permettano di ottimizzare il percorso di apprendimento. Un intervento formativo parte dalle esigenze, viene poi progettato e successivamente realizzato con una valutazione finale. Il processo formativo è quindi costituito da quattro fasi: analisi, progettazione, realizzazione e valutazione. A seconda poi del tipo di corso è utile che siano integrati tra loro lezioni, esercitazioni e simulazioni.


Rischio di caduta dall’alto

Secondo il D.Lgs. 81/08 art. 107 il rischio di caduta si ha quando il lavoratore durante l’attività lavorativa si trova ad una quota superiore ai 2 m rispetto ad un piano stabile.

Rischio di caduta dall’alto: come proteggersi

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I rischi connessi all’attività lavorativa in quota sono principalmente:

  • rischio di caduta dall’alto, un rischio grave che può provocare lesioni anche permanenti o morte:
    • lesioni dovute alla forza di arresto,
    • lesioni causate dall’impatto con il terreno o altri materiali o ostacoli,
    • lesioni o più in generale effetti dovuti a una prolungata sospensione.
  • rischio da sospensione,
  • rischi ambientali,
  • rischi relativi alla movimentazione manuale dei carichi (MMC),
  • rischi correlati ai carichi,
  • rischi concorrenti

Il rischio di caduta dall’alto è un rischio grave che può provocare lesioni anche permanenti o morte:

  • lesioni dovute alla forza di arresto,
  • lesioni causate dall’impatto con il terreno o altri materiali o ostacoli,
  • lesioni o più in generale effetti dovuti a una prolungata sospensione.

Tipologie di caduta

Caduta libera è quella caduta in cui la distanza è superiore ai 600 mm in direzione verticale, ma anche in un pendio senza l’assistenza di un corrimano.

Caduta libera limitata è la caduta in cui la distanza è uguale o inferiore ai 600 mm nella direzione verticale e su un pendio dove non si ha il corrimano.

Quando una persona mentre sta cedendo è trattenuta dall’azione di un idoneo dispositivo di trattenuta si parla di caduta contenuta. Tale caduta non è mai superiore ai 600 mm.

Caduta totalmente preveduta è quella situazione in cui un sistema di trattenuta impedisce al lavoratore di raggiungere la zona che presenta il rischio di caduta.

Effetto pendolo

Effetto pendolo è quel fenomeno che si verifica ogni volta che una parte del peso dell’operatore non viene bilanciata dalla reazione della copertura e risulta disallineata rispetto alla corda di trattenuta. A causa dell’oscillazione intorno alla posizione di arresto del lavoratore, il corpo può subire rotazioni e oscillazioni, con il rischio di urtare contro elementi sporgenti o il suolo stesso, specialmente se ci si trova a un’altezza ridotta.

Se c’è il rischio che l’utilizzatore incontri un ostacolo durante l’effetto pendolo, è necessario adottare una configurazione diversa della linea di ancoraggio o un sistema alternativo. Per prevenire l’effetto pendolo, è importante saper valutare il tirante d’aria, la distanza minima verticale necessaria all’arresto in sicurezza del lavoratore in un sistema di arresto della caduta. Il tirante d’aria è la la distanza di arresto maggiorata di 1 m quale valore di sicurezza.

Rischio da sospensione

La sindrome da sospensione o o da imbracatura è una condizione che può verificarsi quando una persona inerte rimane sospesa. In questa posizione, il sangue tende ad accumularsi nelle gambe e nella parte inferiore del corpo, poiché la forza di gravità ostacola il ritorno venoso verso il cuore. Questo può provocare insufficienza cardiocircolatoria e ischemia cerebrale.

Anche la sospensione cosciente in particolare se prolungata e continuativa può comportare rischi per la salute del lavoratore dovuti alla compressione dei vasi degli arti inferiori. Ma nella sospensione inerte a seguito di perdita di coscienza si ha un rapido peggioramento delle funzioni vitali.

Rischi ambientali

Nonostante i lavori in quota possano essere effettuati solamente se le condizioni metereologiche non mettano in pericolo la sicurezza dei lavoratori (D.Lgs. 81/08 art. 111 c. 7), vi sono vari rischi connessi alle condizioni ambientali quali la caduta di oggetti o di parti strutturali dall’alto, crolli, abbattimenti non controllati, scivolosità dei supporti, cedimenti strutturali, esposizione a scariche elettriche atmosferiche, innesco di incendio.

Rischi relativi alla movimentazione manuale dei carichi

La movimentazione manuale dei carichi (MMC) provoca danni se si sollevano pesi curvando la schiena, se una posizione fissa è mantenuta a lunga e se si svolgono attività di traino o di spinta.

Rischi concorrenti

Rischi concorrenti sono quei pericoli che possono verificarsi contemporaneamente o in rapida successione, aumentando il rischio complessivo di un evento avverso o di un incidente. Questi rischi possono provenire da fonti diverse, come ad esempio le condizioni ambientali, le attrezzature. Nei lavori in quota i principali rischi concorrenti sono un’aderenza non ottimale delle calzature, un abbagliamento, un rapido raffreddamento, una riduzione della visibilità, un colpo di calore, disidratazione, vertigini e disturbi dell’equilibrio.

Tipologie di DPI

L’art. 111 del D.Lgs. 81/08 indica in primo luogo di dare priorità alle misure di protezione collettive e in secondo luogo in attrezzature confacenti alla natura dei lavori, alle sollecitazioni prevedibili e a una circolazione senza rischi. I DPI per i lavori in quota si scelgono secondo alcuni criteri fondamentali:

  • l’operatore deve lavorare e muoversi con facilità,
  • valutazione della compatibilità del dispositivo con gli specifici lavori da eseguire,
  • valutazione della compatibilità di tutti i componenti del sistema,
  • predisposizione di una procedura per il recupero del lavoratore in caso di caduta.

DPI per la trattenuta

Evitano le cadute dall’alto limitando lo spostamento dell’operatore in modo che non raggiunga le zone in cui è possibile cadere.

DPI per il posizionamento

Permettono all’operatore di lavorare sostenuto in tensione.

Sistemi di arresto della caduta

Sono costituiti da diversi elementi: imbracatura, assorbitore di energia, cordino, connettore e punto di ancoraggio. Il cordino può avere una lunghezza massima (compresi i connettori) di 2 m. La funzione dell’assorbitore di energia è dissipare l’energia cinetica durante la caduta; i requisiti sono stabiliti nelle norme UNI 355 e UNI 364. I connettori possono essere a bloccaggio automatico o manuale.

L’imbracatura è concepita per distribuire in caso di caduta le tensioni sul corpo durante la caduta e l’arresto. È costituita dai seguenti elementi: spallacci, cinghia frontale, fibbia di regolazione della cintura, cosciale, fibbie di regolazione degli spallacci, cintura di posizionamento, aggancio dorsale, fibbie di regolazione cosciale, marcatura.

I sistemi di trattenuta conformi alla norma EN 358 e le cinture di posizionamento sul lavoro sono composti da un nastro posizionato a livello della vita, con uno schienale di supporto e almeno due punti di attacco per collegare un cordino di posizionamento o di trattenuta, che può essere regolabile o fisso.

La cintura con cosciali, in conformità con la norma EN 813, viene utilizzata nei sistemi di trattenuta, posizionamento sul lavoro e accesso con fune, ma solo quando le attività non sono a rischio di caduta dall’alto o ribaltamento, poiché non è idonea per arrestare cadute libere in modo sicuro. Si compone di una cintura e di cosciali imbottiti di dimensioni adeguate per garantire un comfort ottimale all’operatore e ha un attacco centrale.

Un sistema anticaduta con dispositivi retrattili è costituito da un’imbracatura e da un dispositivo anticaduta retrattile vincolato a un punto di ancoraggio con arrotolatore autobloccante e cordino retrattile. Il dispositivo retrattile blocca il movimento quando si supera la velocità di 1,5 m/s e ha una distanza di arresto massima di 2 m.

Infine tra i DPI non possono mancare l’elmetto per la protezione del capo e le scarpe che possono essere di tipo SB, S1, S2 o S3.

Ancoraggi

Gli ancoraggi sono costituiti da tre elementi: struttura di supporto, ancorante e elemento da fissare.

La tipologia di ancoraggi corrisponde alle norme cui rispondono:

  • UNI EN 795: dispositivi temporanei di ancoraggio:
    • progettati esclusivamente per DPI anticaduta,
    • utilizzabili da un singolo lavoratore,
    • rimovibili dalle strutture di ancoraggio senza danneggiare le stesse.
  • EN 11578: dispositivi permanenti di ancoraggio:
    • progettati esclusivamente per DPI anticaduta,
    • utilizzabili anche per multi-utente,
    • rimovibili dalle strutture di ancoraggio senza danneggiare le stesse.
  • UNI EN 516 e 517: ganci di sicurezza.
  • Circolari MLPS 85/78, 44/90, 132/91: ancoraggi per ponteggi.
  • ETAG 001: ancoraggi per calcestruzzo.
Marcatura degli ancoraggi

Gli ancoraggi permanenti non rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. 475/92 e quindi non sono DPI e perciò non devono essere marcati CE. Gli ancoraggi non permanenti sono invece considerati DPI e quindi devono essere marcati CE.

Conclusione

Prevenire il rischio caduta dall’alto sul luogo di lavoro rappresenta un aspetto prioritario nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. La messa in atto di adeguate misure di sicurezza, in combinazione con l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI) più idonei, rappresenta un fattore cruciale per garantire un ambiente di lavoro sicuro.


Rischio biologico

La valutazione del rischio biologico: come proteggersi

A tre anni di distanza dall’esplosione della pandemia da Covid-19 e con l’esperienza che ne consegue, siamo ormai tutti consapevoli di quanto sia potenzialmente pericolosa l’esposizione ai rischi biologici e di come ci siano ambienti di lavoro in cui il rischio biologico è maggiore rispetto ad altri: laboratori e strutture sanitarie presentano un’esposizione al rischio biologico ben diversa da quella di un ufficio. Attraverso una valutazione approfondita, è possibile identificare le fonti dei rischi biologici, valutare i rischi che essi comportano e sviluppare strategie efficaci per prevenire e controllare la loro diffusione.

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I pericoli biologici sono agenti infettivi o altre sostanze derivate da organismi viventi che possono causare danni all’uomo e all’ambiente. Questi pericoli possono essere presenti in forme diverse, tra cui batteri, virus, funghi e parassiti. L’esposizione a questi agenti può provocare infezioni, reazioni allergiche e altri problemi di salute. I rischi associati ai pericoli biologici dipendono da vari fattori, come il tipo di pericolo, la via di esposizione e la suscettibilità dell’individuo.

Uso deliberato di agenti biologici e rischio potenziale di esposizione

Un agente biologico è un microrganismo, coltura cellulare, endoparassita che in grado di provocare infezioni, allergie, intossicazioni. Microrganismo è un’entità microbiologica capace di riprodursi o di trasferire materiale genetico. Coltura cellulare è il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Secondo il D.Lgs. 81/08 art. 271 si ha uso deliberato di agenti biologici quando questi ultimi sono introdotti di proposito nel ciclo lavorativo per subire trattamenti vari e sfruttarne le proprietà biologiche. A titolo esemplificativo alcune attività con uso deliberato di agenti biologici sono i laboratori di università e centri di ricerca, di sanità, zooctenia e veterinaria, aziende farmaceutiche. Se invece la presenza dell’agente biologico non è voluta in quanto non è uno specifico oggetto dell’attività stessa allora si parla di attività che comportano un rischio potenziale di esposizione.

Trasmissibilità e veicoli di infezione

Gli agenti biologici possono essere trasmessi per via respiratoria (microbi aerodispersi), orale, cutanea, parenterale (introduzione di sostanze nei tessuti profondi per mezzo di bisturi, aghi, forbici e altri strumenti taglienti), tramite artropodi vettori di tipo passivo (organismi che trasportano passivamente i microrganismi patogeni) o di tipo attivo (per esempio zanzare, pidocchi, pulci).

I veicoli di infezione sono l’aria (ambienti di lavoro chiusi e poco aerati), acqua contaminata, suolo, mani, sangue ed emoderivati.

Tipi di valutazione del rischio biologico

Il rischio biologico è la probabilità che un individuo entri in contatto con un organismo patogeno, si infetti e contragga una malattia. I livelli di valutazione sono fondamentalmente due: valutazione della pericolosità intrinseca dell’agente biologico e valutazione del rischio di infezione dei lavoratori esposti. Si tratta quindi di una valutazione che in altre parole è sia qualitativa sia quantitativa.

Si identificano i potenziali rischi biologici presenti in un luogo di lavoro o in un ambiente tramite osservazioni, interviste e analisi della letteratura. L’obiettivo è identificare le fonti di rischio biologico, le vie di esposizione e la probabilità di esposizione. Successivamente si quantifica il livello di esposizione ai pericoli biologici. Questa valutazione si basa sulla misurazione della concentrazione del rischio biologico e sulla durata dell’esposizione. L’obiettivo è determinare il livello di rischio posto dal rischio biologico e sviluppare misure di controllo efficaci.

Fasi della valutazione del rischio biologico

Il processo di valutazione del rischio biologico prevede diverse fasi, tra cui l’identificazione e la valutazione dei rischi biologici, lo sviluppo di misure di controllo efficaci e le valutazioni periodiche del rischio biologico.

La prima fase della valutazione del rischio biologico prevede l’identificazione delle potenziali fonti di rischio biologico nel luogo di lavoro o nell’ambiente. Questa valutazione comprende la valutazione della probabilità di esposizione, delle vie di esposizione e delle conseguenze dell’esposizione. La valutazione comprende anche l’identificazione dei soggetti a maggior rischio di esposizione, come gli operatori sanitari e i tecnici di laboratorio. Una volta identificati i rischi, il passo successivo consiste nel valutarne la gravità e la probabilità.

La seconda fase della valutazione del rischio biologico prevede lo sviluppo di misure di controllo efficaci per prevenire o ridurre al minimo l’esposizione ai pericoli biologici. Le misure di controllo possono includere controlli amministrativi, come politiche e procedure, e controlli tecnici, come sistemi di ventilazione e dispositivi di protezione individuale. L’efficacia delle misure di controllo deve essere valutata regolarmente per garantire che siano ancora efficaci nel prevenire l’esposizione ai rischi biologici.

Vi è poi una terza fase che vale per tutte le valutazioni dei rischi che prevede valutazioni periodiche per garantire che le misure di controllo rimangano efficaci e che vengano identificati e affrontati nuovi rischi. Le valutazioni periodiche devono essere condotte regolarmente e i risultati devono essere utilizzati per aggiornare la valutazione del rischio e le misure di controllo. Inoltre, i nuovi dipendenti o i cambiamenti nelle pratiche di lavoro devono far scattare una nuova valutazione per garantire che i rischi siano ancora adeguatamente controllati.

DPI per il rischio biologico

Gli obiettivi consistono nella riduzione della pericolosità e dell’esposizione anche tramite l’utilizzo di idonei DPI quali:

  • guanti: devono essere marcati CE come DPI e rispondere ai requisiti prescritti dalla norma EN 374 per la protezione da microrganismi;
  • mascherine monouso, maschere con filtro, autorespiratori;
  • tute tyvec;
  • occhiali e visiere: con marcatura CE come DPI secondo i requisiti prescritti dalla norma UNI EN 166.

Strumenti e tecniche di valutazione del rischio biologico

La valutazione del rischio biologico richiede competenze in varie discipline, tra cui microbiologia, tossicologia ed epidemiologia. Esistono diversi strumenti e tecniche utilizzati nella valutazione del rischio biologico, tra cui:

  • liste di controllo per la valutazione del rischio,
  • monitoraggio dell’esposizione,
  • campionamento e analisi dell’aria,
  • campionamento e analisi delle superfici,
  • sorveglianza sanitaria.

La scelta degli strumenti e delle tecniche dipende dal tipo di pericolo e dall’ambiente in cui è presente. Il campionamento dell’aria può essere più appropriato per i rischi biologici trasportati dall’aria, mentre il campionamento della superficie può essere più utile per i rischi biologici presenti sulle superfici.


La valutazione del rischio rumore

Rischio rumore: metodologia per la sua comprensione

Il rumore è una costante della nostra vita quotidiana e lavorativa: siamo costantemente circondati dal suono. Alcuni rumori possono essere dannosi per la nostra salute. L’esposizione prolungata a livelli elevati di rumore può causare l’insorgenza di ipoacusia neurosensoriale bilaterale.

rischio-rumore

Il suono è prodotto da onde acustiche regolari e periodiche con uguale frequenza, mentre il rumore da onde irregolari e non
periodiche che causano una sensazione sgradevole e fastidiosa.

La valutazione del rischio rumore

Il D.Lgs. 81/08 all’art. 189 definisce i valori limite di esposizione e all’art. 190 obbliga il datore di lavoro a valutare l’esposizione al rumore dei lavoratori considerando una serie di parametri quali livello, tipo e durata dell’esposizione, i valori limite, gli effetti che il rumore può provocare, effetti diretti e indiretti, i DPI esistenti per la protezione dell’udito.

Valori limite di esposizione e azione relativamente all’esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco (art. 189 D.Lgs.81/08):
a) valori limite di esposizione rispettivamente LEX = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (140 dB(C) riferito a 20 μPa);
b) valori superiori di azione: rispettivamente LEX = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C) riferito a 20 μPa);
c) valori inferiori di azione: rispettivamente LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C) riferito a 20 μPa).

Esistono due tipi di rumore: continuo e impulsivo. Il rumore continuo è un suono costante, come il ronzio di una macchina. Il rumore impulsivo è un suono improvviso e breve, come un’esplosione o uno sparo. Entrambi i tipi di rumore possono causare danni all’udito. Tuttavia, il rumore impulsivo può causare danni più gravi a causa della sua natura improvvisa.

Più nello specifico la valutazione del rischio rumore deve considerare:

  • l’emissione,
  • la propagazione,
  • la ricezione.

Misurazione

Se durante la valutazione si ritiene che i valori inferiori di azione possano essere superati, il datore di lavoro deve procedere alla misurazione dei livelli di rumore a cui i lavoratori sono esposti. Per le misurazioni è necessario utilizzare metodi e strumentazioni adeguati alle caratteristiche del rumore da misurare, alla durata dell’esposizione e ai fattori ambientali, nel rispetto delle indicazioni delle norme tecniche. Tra i metodi utilizzati possono rientrare anche la campionatura, purché sia rappresentativa dell’esposizione del lavoratore.

Si possono inoltre consultare le banche dati sul rumore, raccolte di informazioni riguardanti il livello di rumore presente in determinati luoghi o situazioni. Queste banche dati possono essere costituite da diverse fonti, tra cui le misurazioni effettuate da strumenti di rilevazione del rumore, le stime basate su modelli matematici e le segnalazioni di cittadini e istituzioni.

Il processo di valutazione del rumore prevede tre fasi: l’identificazione delle sorgenti, la misurazione dei livelli di rumore e la valutazione del rischio. La prima fase prevede l’identificazione delle fonti di rumore sul luogo di lavoro. La seconda fase prevede la misurazione dei livelli di rumore con un fonometro. La terza fase prevede la valutazione del rischio di danni all’udito in base ai livelli di rumore misurati.

La valutazione del rischio deve tenere conto della durata dell’esposizione, della suscettibilità individuale alla perdita dell’udito causata dal rumore e dell’uso di protezioni acustiche.

Quantificazione dell’esposizione al rumore

Per quantificare l’esposizione dei lavoratori al rumore utilizziamo:

  • il livello equivalente, livello, misurato in dB, di un rumore immaginario costante che, se sostituito al rumore effettivamente presente per lo stesso periodo di tempo T, produrrebbe la stessa quantità totale di energia sonora;
  • il livello di esposizione giornaliera al rumore, il valore medio dei livelli di esposizione al rumore, calcolato in modo ponderato in funzione del tempo, durante una normale giornata lavorativa di 8 ore;
  • la pressione acustica di picco (ppeak).

Scenari possibili

Non superamento del valore inferiore di azione:

LEX8h < 80 dB(A) – 135 dB(C)
Obblighi del datore lavoro:

• valutazione del rischio
Superamento del valore inferiore di azione:

LEX8h > 80 dB(A) – 135 dB(C)
Obblighi del datore lavoro:

• misurazione dei livelli di esposizione
• informazione e formazione
•sorveglianza sanitaria
• utilizzo di DPI
Superamento del valore superiore di azione:

LEX8h => 85 dB(A) – 137 dB(C)

Obblighi del datore lavoro:

• sorveglianza sanitaria
• programma di misure per la riduzione
dell’esposizione al rumore
• utilizzo di DPI
• adeguata segnaletica
Superamento del valore limite di esposizione:

LEX8h > 87 dB(A) – 140 dB(C)

Obblighi del datore lavoro:

• immediata riduzione dell’esposizione
• individuazione delle cause
• modifiche misure preventive e protettive

Come si vede dalla tabella esistono diverse strategie che possono essere utilizzate per ridurre l’esposizione al rumore, tra cui l’utilizzo di idonei DPI, le barriere antirumore e i controlli tecnici. I DPI, come tappi per le orecchie e cuffie, possono essere utilizzati per ridurre l’esposizione al rumore. Le barriere antirumore, come tende, pareti e recinti, possono essere utilizzate per bloccare o assorbire il rumore. I controlli tecnici, come le attrezzature e i macchinari insonorizzanti, possono essere utilizzati per ridurre il rumore alla fonte.

L’informazione e formazione dei lavoratori sono essenziali per una gestione efficace del rischio rumore. I lavoratori devono essere istruiti sui rischi associati all’esposizione al rumore e formati sul corretto utilizzo dei DPI. Il datore di lavoro deve fornire una formazione regolare sull’uso dei controlli tecnici e delle misure per la riduzione dell’esposizione al rumore.

Sorveglianza sanitaria

L’obbligo di sorveglianza sanitaria per la prevenzione degli effetti uditivi del rumore si attiva nel caso in cui si superino il livello superiore di azione LEX di 85 dB(A) e/o LCpicco >137 dB(C).

Nel caso in cui si superi il livello LEX di 80 dB(A), la sorveglianza sanitaria può essere attivata a richiesta del lavoratore o qualora il Medico Competente ritenga necessario procedere in tal senso.

Conclusioni

L’esposizione al rumore può anche causare effetti non uditivi sulla nostra salute. L’esposizione prolungata al rumore può causare stress, disturbi del sonno e ipertensione. Lo stress indotto dal rumore può causare un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, con conseguenti malattie cardiovascolari.


Lavori in quota con il trabattello

Trabattelli e lavori in quota: guida pratica

Il trabattello è un tipo di attrezzatura molto utilizzata per fornire una piattaforma stabile ma che permetta al tempo stesso di spostarsi rapidamente. Normalmente è usato per affrontare alcuni interventi di lavori in quota che non richiedono molto tempo e che devono essere svolti a un’altezza non particolarmente elevata, inferiore ai 12 metri.

UNI EN 1004:2021

L’utilizzo del ponteggio mobile, il trabattello, definito dal D.Lgs. 81/08 come un ponte dotato di ruote è regolamentato da UNI EN 1004:2021, in vigore da dicembre 2021. La norma fornisce una panoramica completa sull’uso del trabattello e in particolare è il riferimento per:

  • definizioni (ponteggio, componente, installazione, manutenzione, ecc.);
  • requisiti di sicurezza per la progettazione, la produzione e l’uso dei ponteggi prefabbricati mobili. Questi includono requisiti di carico, stabilità, resistenza agli agenti atmosferici, accesso sicuro, prevenzione delle cadute, ecc.;
  • progettazione e produzione: si trovano le specifiche dei materiali, le dimensioni e i carichi di lavoro consentiti;
  • requisiti per l’installazione e lo smontaggio, comprese le procedure di assemblaggio, le verifiche di stabilità, la protezione contro i pericoli di elettricità, ecc.
  • manutenzione e ispezione: le procedure di pulizia, le verifiche di stabilità e di funzionamento dei componenti, ecc.

Bisogna poi distinguere i trabattelli dai piccoli trabattelli definiti e regolamentati da UNI EN 11764:2019.

Classificazione

Sia i trabattelli sia i piccoli trabattelli sono classificati in base ai seguenti fattori:

  • classe di carico: per i trabattelli le classi di carico possono essere la 2 e la 3 rispettivamente con carico uniformemente distribuito di 1,50  e di 2,00 kN/m2. Per i piccoli trabattelli il carico massimo è di 150 kg comprendendo un unico lavoratore, attrezzature e materiale.
  • classi di utilizzo: sono solamente due ovvero all’interno o all’sterno e a loro volta implicano rispettivamente l’assenza o la presenza di vento.
  • classi di altezza:
    • i trabattelli possono avere classe H1 ≥ 1,85 m oppure H2 ≥ 1,90 m;
    • i piccoli trabattelli h < 2 m o 2 m ≤ h < 4 m.
  • classi di accesso:
    • accesso tipo A: scala a rampa,
    • accesso tipo B: scala a gradini,
    • accesso tipo C: scala a pioli inclinata,
    • accesso tipo D: scala a pioli verticale.
  • modalità di accesso: per i trabattelli normali è possibile accedervi dall’esterno o dall’interno. L’accesso esterno è consentito se l’altezza più alta è inferiore a 2 m. Per i piccoli trabattelli le modalità di accesso sono così classificate:
    • accesso di tipo E: dall’esterno,
    • accesso di tipo I: dall’interno,
    • accesso di tipo EI: dall’esterno e dall’interno.

Designazione ed etichetta

Il trabattello in conformità a UNI EN 1004:2021 deve obbligatoriamente avere la sua designazione in cui sono riportate le seguenti informazioni e indicazioni:

  • il prodotto: trabattello,
  • il riferimento alla norma: UNI EN 1004:2021,
  • la classe di carico: 2 o 3,
  • l’altezza massima all’esterno e all’interno: 8 e 12 m,
  • le classi di accesso: A, B, C o D per i trabattelli con un unico tipo di accesso; ABCD se vi sono i quattro tipi di accesso; o se gli accessi sono due, quelli mancanti devono essere indicati intervallati da una X (per esempio se gli accessi sono B e D con XBXD),
  • le classi di altezza: 1,85 m (H1), 1,90 m (H2).

L’etichetta del trabattello posta in mondo visibile deve riportare le indicazioni della designazione, il nome del fabbricante, la dicitura “leggere il manuale di istruzioni”.

Il piccolo trabattello analogamente al trabattello deve riportare nella sua designazione le stesse indicazioni secondo UNI EN 11764:2019. Anche l’etichetta è analoga.

Cartello

Una volta montato o trasformato il trabattello deve essere dotato di un cartello visibile con alcune informazioni minime indispensabili:

  • nominativo del responsabile,
  • data di montaggio,
  • classe di carico,
  • se il trabattello è pronto per l’uso,
  • se il trabattello è utilizzabile esclusivamente per uso interno.

Scelta del trabattello

La scelta del trabattello deve essere effettuata considerando diversi aspetti quali le dimensioni dell’impalcato, se il lavoro deve essere svolto in ambienti interni o esterni, se vi è presenza o meno di vento, la classe di carico, il tipo di accesso, se i carichi sono orizzontali o verticali in quanto possono destabilizzare il trabattello stesso, le condizioni del terreno, l’eventuale uso di stabilizzatori, di sporgenze esterne, di zavorre o se vi è necessità di ancoraggi.

I maggiori rischi

Il maggiore rischio è rappresentato dalla caduta dell’operatore, il quale può precipitare sia durante la fase di montaggio o smontaggio, sia durante il lavoro in quota, ma anche durante la salita e la discesa tra i vari ponti.

Durante le fasi di montaggio/smontaggio, il rischio di movimentazione manuale dei carichi è presente poiché tali fasi richiedono la manipolazione di telai prefabbricati e tavole per l’assemblaggio.

Si può verificare la caduta accidentale di materiale quali utensili o altri oggetti durante l’esecuzione di lavori. La presenza di attrezzi o altri ostacoli sui piani del ponte possono provocare scivolamento o inciampo del lavoratore e una conseguente caduta con rischio di infortunio.

Rischi connessi allo spostamento del trabattello

Ma c’è anche il rischio investimento: bisogna prestare molta attenzione anche nello spostamento del trabattello per evitare di investire eventuali altri lavoratori sul percorso. Si possono verificare urti con cavi elettrici o elementi strutturali come travi, gru a ponte o altri elementi sospesi, causando la possibilità di folgorazione o di danni al lavoratore coinvolto.

Rischio ribaltamento

Un sovraccarico oppure il posizionamento errato o l’assenza di stabilizzatori o ancora il mancato ancoraggio possono provocare il ribaltamento del trabattello e la caduta dei lavoratori.

L’oscillazione del trabattello può essere dovuta a un bloccaggio inefficacie delle ruote; oscillazione che verrebbe amplificata dalla presenza di carico in sommità.

Manutenzione

Una verifica accurata dei componenti metallici permette una manutenzione ottimale. Essa deve essere eseguita da personale qualificato e in particolare bisogna monitorare:

  • lo strato superficiale,
  • lo stato di usura e corrosione,
  • lo stato delle saldature,
  • lo stato delle parti mobili,
  • lo stato di viti, perni, dadi, bulloni, rivetti.

Mentre per la manutenzione dei componenti in legno si deve verificare:

  • la presenza di tagli o abrasioni,
  • l’usura,
  • danni causati dal calore o da sostanze aggressive,
  • deterioramento causato dai raggi solari.

Queste verifiche devono prendere in considerazione il telaio, le diagonali, i correnti, le protezione intermedia e termapiede, le aperture di accesso, gli impalcati, le ruote, gli stabilizzatori e i piedini.

Aspetti documentali e formazione

Le istruzioni obbligatorie devono essere fornite dal fabbricante e sono indispensabili per il corretto montaggio, smontaggio e trasformazione del trabattello. Per quest’ultima fase, la trasformazione, si intende il passaggio da una configurazione ad un’altra, se consentite dal fabbricante per il singolo modello.

Prima di procedere al montaggio del trabattello è di fondamentale importanza eseguire un’ispezione del sito scelto per l’assemblaggio per verificare le condizioni del terreno, la pendenza, eventuali ostacoli, condizioni meteorologiche, eventuale presenza di linee elettriche aeree.

Il trabattello non deve essere marcato CE poiché non esiste una direttiva di prodotto.

Spesso quando si parla di trabattelli si parla erroneamente anche del PIMUS (Piano di Montaggio, Uso e Smontaggio), ma esso si riferisce esclusivamente ai ponteggi veri e propri e non ai trabattelli.

Infine un accenno alla formazione che non è necessaria di per se stessa per l’uso del trabattello, quanto per il tipo di lavoro che in esso si svolge ovvero lavori in quota così come richiesto dal D.Lgs. 81/08. In ogni caso i lavoratori incaricati del montaggio, smontaggio e trasformazione del trabattello devono essere addestrati alla mansione conformemente al D.Lgs. 81/08.


Sicurezza sul lavoro in cucina

La cucina come parte dell’ambiente di lavoro

Quando la cucina è un luogo di lavoro deve possedere i requisiti strutturali per gli ambienti di lavoro. Non si tratta solamente delle cucine professionali di ristoranti e mense, ma anche del locale cucina spesso presente in aziende e negozi a disposizione dei dipendenti. Gli aspetti da tenere in considerazione sono fondamentalmente tre: aerazione, illuminazione naturale diretta e rifinitura delle pareti e dei pavimenti.

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Requisiti dell’ambiente: altezza e rivestimenti

L’altezza minima prevista è di 2,70 metri dal piano di calpestio al soffitto o eventualmente alla pannellatura del controsoffitto, se presente.

I locali in cui gli alimenti sono lavati, preparati e trasformati devono essere progettati e predisposti in modo da garantire una corretta prassi igienica, secondo quanto stabilito dall’allegato II del Reg. CE 852/2004 aggiornato dal Reg. UE 382/2021.

Il materiale del pavimento deve essere liscio, lavabile ed impermeabile, con angoli e spigoli arrotondati di colore chiaro e con inclinazione verso un tombino sifonato dotato di griglia a maglie fini.

Le superficie delle pareti deve essere facilmente lavabile e sanificabile, colorata con tonalità chiare, con angoli arrotondati e rivestita con piastrelle o resine epossidiche fino a 2 metri da terra. Nelle norme non troviamo specificato l’obbligo di piastrellatura, ma sicuramente una superficie piastrellata presenta una maggiore facilità di pulizia.

Inoltre nelle cucine all’interno dei luoghi di lavoro occorre rispettare tutto quanto indicato dal D.Lgs. 193/2007, in recepimento dei regolamenti europei già citati, inerente alla sicurezza alimentare. Oltre alle caratteristiche dei locali precedentemente citate, tale normativa richiama il rispetto dei principi di  HACCP , Hazard Analysis Critical Control Point (Analisi dei Rischi e Controllo dei Punti Critici). Si tratta, in breve, di un sistema di controllo, relativamente alla produzione degli alimenti, che ha come obiettivo la garanzia della sicurezza igienica e della commestibilità.

Quando la cucina è abitabile

Per poter considerare una cucina abitabile, secondo i regolamenti edilizi dei vari comuni, sono necessari circa 9 metri quadrati se in essa si consumano anche pasti e 5 metri quadrati se è utilizzata per il consumo dei pasti.

Una cucina abitabile deve avere un’altezza dal pavimento al soffitto di almeno 2,7 metri, deve contenere una superficie finestrata maggiore di un ottavo della superfice di pavimento e non deve esserci un accesso diretto al bagno. La normativa dichiara che ogni cucina per essere dichiarata abitabile debba disporre di una finestra apribile, oppure di un collegamento a un’altra stanza in questo caso il collegamento non deve essere una semplice porta, ma deve permettere un sufficiente passaggio di aria e luce.

Cappe aspiranti

La norma UNI 7129-2015, parte seconda, prevede anche l’obbligo di installare in cucina una cappa aspirante quando è presente un piano cottura a gas. Dobbiamo sottolineare che la normativa parla di obbligatorietà per i piani di cottura a gas, ma non per i piani cottura ad induzione. Tuttavia l’installazione di una cappa aspirante è fortemente consigliata anche in questo caso, in quanto la cottura per induzione genera vapore che condensa come acqua sulle superfici. La funzione della cappa è proprio garantire il ricambio d’aria. Durante un’ora di funzionamento la cappa dovrebbe garantire almeno cinque ricambi completi dell’aria contenuta nel locale e il loro allontanamento all’esterno. Esistono diversi tipi di cappa:

  • la cappa a tiraggio naturale, una cappa collegata con un canale di esalazione a un condotto o canna fumaria o direttamente all’esterno;
  • la cappa aspirante elettrica, una cappa collegata tramite un condotto di scarico dei vapori di cottura ad un’apposita canna fumaria oppure direttamente all’esterno. La cappa deve essere sempre in funzione funzionare per il tempo di funzionamento dell’apparecchio. Si possono utilizzare dei dispositivi che permettono al piano cottura a induzione di dialogare con la cappa aspirante per accendere e adeguare correttamente l’aspirazione delle zone cottura;
  • la cappa filtrante elettrica con elettroventilatore collocato sulla parte alta di una parete del locale di installazione (o sui serramenti rivolti verso l’esterno) oppure collegato a un condotto di esalazione, a suo uso esclusivo. In ogni caso, è fondamentale che l’elettroventilatore rimanga attivo per l’intera durata del funzionamento dell’apparecchio.

Per le cucine professionali che hanno portate termiche superiori a 35 kW i requisiti tecnici e dimensionali specifici sono indicati nel D.M. del 12/4/1996.

Montaggio

Per quanto riguarda il montaggio, la cappa della cucina deve essere centrata sopra il piano di cottura, a un’altezza minima di 65 cm, se i bruciatori sono a gas, di 75 cm, se invece il funzionamento è elettrico. La distanza deve essere inferiore ai 90 cm in modo tale da permettere un funzionamento ottimale e non disperdere i fumi nell’aria.

Sempre la norma UNI 7129 con il termine vapori di cottura intende l’insieme dei prodotti della combustione e dei vapori/esalazioni risultanti dalla cottura dei cibi.

Il canale di esalazione di tali emissioni è definito come un condotto che collega una cappa o un ventilatore asservito ad un apparecchio di cottura ad un condotto/condotto collettivo per vapori di cottura o direttamente verso l’atmosfera esterna. La scarico dei vapori di cottura deve avvenire attraverso il tetto, anche se in determinate circostanze esistono deroghe che permettono lo scarico diretto a parete.

Cucina o locale ristoro?

Infine non possiamo tralasciare il locale ristoro definito dalla normativa (allegato IV del D.Lgs. 81/08, punto 1.11, caratteristiche dei locali di riposo e refezione) come un tipo di locale di “dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e sedie con schienale in funzione del numero di lavoratori”. E questo è quanto perché in tutto il D.Lgs 81/08 e anche nelle normative nazionali non esistono particolari indicazioni per meglio definire il locale ristoro. Eventualmente qualche rimando può essere trovato sui vari Regolamenti Edilizi locali.

In ogni caso per analogie normativa è sicuramente possibile affermare che debbano essere dotati di aerazione naturale con una finestra apribile per una superficie superiore ad un ottavo della superficie del pavimento o, nel caso non fossero presenti superfici finestrate, occorre avere un sistema di ventilazione meccanica che rimanga sempre acceso e garantisca un ricambio d’aria di almeno 5 vol/h.

I locali ristoro, all’interno dei luoghi di lavoro, non devono prevedere nessun tipo di manipolazione degli alimenti, ma sono destinati unicamente alla conservazione giornaliera degli alimenti dei dipendenti, in appositi contenitori monouso, con indicazione della scadenza e degli ingredienti.

Dotazioni del locale ristoro

È possibile dotare il locale ristoro di un frigorifero, per contenere gli alimenti a temperatura controllata, un lavello per lavare i recipienti e di un forno microonde per scaldare gli alimenti con le caratteristiche sopraindicate.


Ambienti Atex

Ambienti Atex: come garantire la sicurezza degli impianti elettrici in zona Atex

Le installazioni elettriche nelle aree pericolose richiedono una particolare attenzione ai dettagli e considerazioni sulla sicurezza a causa della presenza di materiali combustibili o di atmosfere esplosive. La norma CEI EN 60079-17 fornisce il quadro di riferimento per l’installazione sicura degli impianti elettrici nelle zone Atex. Le zone Atex si riferiscono ad aree in cui possono esistere atmosfere esplosive che rappresentano un rischio di incendio o di esplosione. CEI EN 60079-17 definisce i requisiti per la progettazione, la costruzione, il collaudo e la manutenzione di apparecchiature e sistemi elettrici in queste aree. Fornisce inoltre indicazioni sulla scelta dei componenti elettrici adatti, sull’installazione dei sistemi e sul collaudo delle apparecchiature. Il rispetto di questa norma garantisce la sicurezza del personale, delle apparecchiature e dell’ambiente.

Tipici esempi di impianti elettrici in aree pericolose sono gli impianti di produzione di petrolio e gas e quelli di lavorazione di prodotti chimici, siti di produzione industriale, raffinerie, miniere.

ambienti-atex

CEI EN 60079-17: protagonista per la messa in sicurezza

Le aree pericolose sono luoghi in cui esiste il rischio di incendio o esplosione a causa della presenza di materiali combustibili o di atmosfere esplosive. Queste aree sono classificate come pericolose a causa del loro potenziale di causare danni al personale, alle cose o all’ambiente. Le zone Atex sono aree in cui possono esistere atmosfere esplosive, compresi gas, vapori, nebbie e polveri.

La norma CEI EN 60079-17 è la principale fonte di guida per la progettazione, la costruzione, il collaudo e la manutenzione di impianti elettrici in aree pericolose. La norma è applicabile alla progettazione, alla costruzione, al collaudo e alla manutenzione di apparecchiature e sistemi elettrici nelle zone Atex.

Panoramica della norma CEI EN 60079-17

La norma CEI EN 60079-17 è suddivisa in due parti. La prima parte riguarda le prescrizioni generali per la progettazione, la costruzione, il collaudo e la manutenzione di apparecchiature e sistemi elettrici nelle zone Atex. La seconda parte riguarda le prescrizioni specifiche per la progettazione e la costruzione di apparecchiature e sistemi elettrici nelle zone Atex.

La norma CEI EN 60079-17 stabilisce i requisiti per la selezione dei componenti elettrici adatti, l’installazione dei sistemi e il collaudo delle apparecchiature. Fornisce inoltre indicazioni sulla scelta di dispositivi di protezione adeguati, sulla selezione di materiali isolanti appropriati e sull’uso di tecniche di installazione appropriate.

Requisiti per la progettazione e la costruzione di apparecchiature e sistemi elettrici nelle zone Atex

I requisiti per la progettazione secondo CEI EN 60079-17:

  • utilizzo di materiali e componenti idonei,
  • uso di materiali isolanti appropriati,
  • uso di tecniche di installazione appropriate,
  • uso di dispositivi di protezione adeguati,
  • uso di una corretta marcatura ed etichettatura dell’impianto elettrico.

CEI EN 60079-17 stabilisce anche i requisiti per il collaudo di apparecchiature e sistemi elettrici nelle zone Atex:

  • test per garantire che l’impianto elettrico sia adatto allo scopo previsto,
  • test per garantire che l’impianto elettrico sia sicuro da utilizzare in un’area pericolosa,
  • test per garantire che l’impianto elettrico sia resistente agli shock elettrici e meccanici.

Linee guida per la selezione dei componenti elettrici adatti

La norma richiede che i componenti utilizzati in queste aree siano classificati per l’uso in aree pericolose e siano adatti al tipo di atmosfera pericolosa esistente. La scelta dei componenti elettrici deve tenere conto anche della temperatura nominale e delle condizioni ambientali dell’area.

I componenti elettrici inoltre devono essere testati in conformità agli standard CEI pertinenti. Ciò include test per le prestazioni elettriche, meccaniche e ambientali. I test devono essere eseguiti da personale qualificato e devono essere documentati.

Sequenza di fasi

L’applicazione di CEI EN 60079-17 ci permette di seguire delle fasi compiere per mettere in sicurezza gli impianti elettrici nelle zone Atex:

  • selezionare i componenti elettrici adatti all’uso in aree pericolose,
  • utilizzare materiali isolanti appropriati,
  • utilizzare tecniche di installazione adeguate.
  • utilizzare dispositivi di protezione adeguati.
  • segnalare ed etichettare correttamente l’impianto elettrico,
  • testare l’impianto elettrico in conformità alle norme vigenti.

Queste fasi contribuiscono a garantire che l’impianto elettrico sia progettato, costruito, testato e mantenuto in conformità con gli standard pertinenti. Ciò contribuisce a ridurre il rischio di incendio o esplosione dovuto alla presenza di materiali combustibili o di atmosfere esplosive.

Conformità alla norma CEI EN 60079-17

La conformità alla norma CEI EN 60079-17 garantisce che le installazioni elettriche nelle zone Atex siano progettate, costruite, testate e mantenute in conformità con gli standard pertinenti. Ciò contribuisce a garantire la sicurezza del personale, delle apparecchiature e dell’ambiente. Inoltre, contribuisce a ridurre il rischio di incendio o esplosione dovuto alla presenza di materiali combustibili o di atmosfere esplosive e quindi a garantire che i sistemi elettrici siano efficienti.